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La risposta di Privacy for School

Per rispondere al quesito, che attiene a materia delicatissima, occorre partire da alcune premesse. 1) L’attivazione di iniziative di assistenza agli studenti, ai genitori, al personale può essere o meno dichiaratamente di natura psicologica. L’attenzione è rivolta ai disagi infantili, adolescenziali, alla dipendenza da droghe o alcool, alla prevenzione del bullismo; ed ancora a prevenire la dispersione scolastica e il disagio cui spesso si correla strettamente l'insuccesso scolastico, a favorire il successo formativo valorizzando le potenzialità di ognuno, a promuovere un'azione di orientamento individuale, a rinforzare metodi di lavoro e di studio che facilitino l’apprendimento, a favorire la comunicazione interpersonale, ecc. Il terreno di coloro che si occupano del benessere dello studente o dei loro disagi è affollato: oltre agli psicologi, ma anche agli stessi docenti, si pensi ai counselor, ai coach, ecc. 2) Nella professione psicologica è più difficile –almeno nella percezione comune, non tecnica – tracciare il confine tra le attività che rientrano nella definizione dell’art. 1 della L 18 febbraio 1989, n. 56 (dispone l’art. 1 di tale legge che “La professione di psicologo comprende l'uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito”) e che per ciò sono riservate allo psicologo e quelle che non lo sono. La situazione è complicata dal fatto che non tutte le attività che lo psicologo può porre in essere sono di natura psicologica: si pensi per es. alle attività di formazione su temi certamente afferenti ad aspetti psicologici. Lo svolgimento di attività di natura psicologica da parte dello psicologo comporta una serie di ricadute di varia natura, che meglio si analizzeranno, ivi incluso il segreto professionale. 3) La distinzione non è di poco conto, posto che, essendo dal punto di vista giuridico l’azione e la professione psicologica di natura sanitaria, come tale, essa implica delle ricadute in termini di consenso dell’interessato al trattamento (se l’interessato sia minorenne, dei suoi genitori) e di rispetto delle corrispondenti regole privacy (consenso informato). Si veda in tema la recente sentenza della Corte di Cassazione penale 05/09/2017 n. 40291 che ha affermato: “L'assenza di un esplicito consenso da parte dei genitori di un minore, che sia stato oggetto di "osservazione" in classe da parte di uno psicologo a ciò incaricato dalla scuola, integra una compressione della loro libertà di autodeterminazione astrattamente rilevante in relazione al reato di violenza privata (art. 610 c.p.). Costituisce atto pubblico la relazione predisposta dallo psicologo di un istituto scolastico qualora abbia compiti di non esclusivo supporto tecnico ai docenti ma di diretta osservazione e valutazione degli alunni trattandosi di un soggetto che svolge una funzione disciplinata da norme di diritto pubblico e caratterizzata dalla manifestazione della volontà della Pubblica Amministrazione e dal suo svolgersi attraverso atti autoritativi e certificativi: ne consegue che la omessa protocollazione agli atti dell'ente di tale documento integra la condotta del reato di soppressione, distruzione, occultamento di atto pubblico (art. 490 c.p.)”. Con riferimento al primo principio, nel rimettere il caso al giudice del merito, afferma la Corte di Cassazione: "Se nella prima ipotesi, in cui la psicologa avrebbe avuto il ruolo di "consulente" della maestra per suggerirle indirizzi didattici, non involgendo, quindi, in alcun modo i comportamenti degli alunni, si potrebbe escludere che l'attività di osservazione potesse interferire nella sfera personale degli alunni e quindi necessitare del preventivo consenso dei genitori, non altrettanto può dirsi se oggetto dell'osservazione erano proprio i comportamenti degli alunni e ancor di più, di alcuni degli alunni ritenuti portatori di problematiche. In questo secondo caso, a prescindere dal fatto che siano stati o meno somministrati test o che le lezioni siano state specificamente modulate, non vi è dubbio che l'osservazione delle condotte in classe, al fine di trarne elementi per formare una valutazione degli alunni sotto il profilo comportamentale e prendere ulteriori provvedimenti, rappresentava una invasione delle sfere personali degli alunni che, come tale, necessitava il preventivo consenso". Ciò premesso, come ritenuto nelle nostre risposte in argomento, la scuola deve esplicitare sin dalla programmazione e poi nella sua comunicazione ai destinatari dell’iniziativa la sua natura specifica. Se l’iniziativa voglia avere natura di assistenza psicologica (ad esempio perché diretta alla predisposizione e gestione di percorsi di prevenzione o di recupero da situazioni di disagio o di violenza e ad intrecciarsi con la descrizione e la valutazione di personalità così da sfociare quindi in una diagnosi psicologica), allora, si useranno le parole “psicologo” e “psicologico”, evitando formulazioni diverse (come, ad es. sportello di counseling o coaching o altre ancora) e chi sarà incaricato dello “sportello” o dell'attività sarà uno psicologo iscritto al relativo Albo. In tal caso, l’uso deciso dell’aggettivo “psicologico” sin dalla fase di ideazione degli interventi in questione, inoltre, aiuterà ad evitare ambiguità a cascata circa la natura dell’intervento. Ma, al contrario, se l’intenzione della scuola sia di tipo diverso (per es. attività di formazione) si escluderà altrettanto esplicitamente che vi siano interventi di natura psicologica. Allorchè si sia in presenza di interventi di natura psicologica (caso che sembra ricorrere in relazione al quesito posto), occorre tenere ulteriormente presente che: a) le informazioni personali coinvolte dall’esercizio di tali attività costituiscono dati idonei a rivelare lo stato di salute ex art. 4, comma 1, lett. d) D.Lgs. n 196/2003 e come tali vanno trattate; b) il trattamento delle informazioni personali attenenti la salute degli alunni da parte delle istituzioni scolastiche è legittimato dagli artt. 20, 95 e 96 DLgs 196/2006 e dal DM 305/2006 (con particolare riferimento alla scheda n 5 che attiene al trattamento dei dati personali sensibili degli alunni per finalità didattiche e di valutazione). L’impianto del D.Lgs n 196/2003 rende irrilevante il consenso dell’interessato (art. 18, quarto comma) al trattamento delle informazioni personali che lo riguardano da parte dell’ente pubblico, poiché per tale contesto vale il diverso titolo di legittimazione della previsione nelle specifiche fonti normative (ai sensi del citato art. 20 l’autorizzazione al trattamento cioè deve essere prevista da espressa disposizione di legge o di regolamento nei quali siano specificati i tipi di dati che possono essere trattati e di operazioni eseguibili e le finalità di rilevante interesse pubblico perseguite: elementi rinvenibili – appunto- nel combinato disposto degli artt. 95 e 96 del D.Lgs n 196/2003 e nel citato DM 305/2006). c) L’unilateralità dell’azione pubblica anche in materia di privacy sottesa alle norme citate (ben comprensibile tenendosi conto che se la legge individua una certa funzione come pubblica, il consenso al trattamento dei dati personali coinvolti dalla funzione dei destinatari della stessa finirebbe per condizionare lo svolgimento stesso della predetta funzione) subisce tuttavia delle deroghe “secche” in tema di trattamento dei dati sanitari da parte degli esercenti le professioni sanitari, “deroghe” da tenere presenti anche allorché i dati sanitari si intreccino inestricabilmente con funzioni diverse da quelle di tutela della salute e pur se trattati da amministrazioni diverse da quelle sanitarie . d) E’ il caso del trattamento dei dati di salute psicologica degli alunni, una volta che si sia preso atto che i dati in questione appartengono alla categoria dei dati sanitari. Deve ritenersi costituire “dato sensibile” anche l’identità di coloro che ricorrono allo psicologo, poiché tale qualificazione è fondata sulla semplice “idoneità a rivelare lo stato di salute”. In conclusione, la scuola può trattare i dati sanitari degli alunni che siano indispensabili per lo svolgimento delle sue funzioni istituzionali, senza bisogno di consenso. Invece, lo psicologo, in quanto esercente una professione sanitaria, svolge tale professione solo previa consenso dell’interessato. Entrambi devono rendere l’informativa ex art. 13 D.Lgs. n 196/2003. Come si vede, l’intreccio di funzioni e norme rende particolarmente delicato anche l’equilibrio applicativo della normativa richiamata. Nel caso di specie, non trattasi di un progetto istituzionale, ma sono stati i genitori di un alunno a richiedere la presenza di un professionista che svolga attività di osservazione in classe sul loro figlio. Ciò premesso la scuola deve acquisire agli atti la richiesta della famiglia ed il relativo consenso; inoltre lo psicologo dovrà precisare in cosa esattamente si concretizzerà l'attività di valutazione ed osservazione. L'elemento del tutto dirimente ai fini della relativa legittimità è che sia rivolta solo ed esclusivamente nei confronti dell'alunno per il quale vi è l'autorizzazione ed il consenso della famiglia. Nessun altro alunno della classe potrà essere coinvolto nel processo di valutazione ed osservazione. Se i suddetti presupposti sono integrati, le famiglie degli altri alunni potranno essere meramente informate della presenza della professionista con la precisazione che l'attività è rivolta solo nei confronti di un alunno senza alcun coinvolgimento, anche in termini di privacy, della restante parte della classe.
Data di pubblicazione: 19/02/2018

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