Una docente di scuola dell'infanzia ha registrato con il telefonino quanto succedeva in classe durante il servizio di una collega.
La docente voleva dimostrare che la collega non è in grado di gestire i bambini.
Mi ha comunicato per mail di essere in possesso della registrazione e le ho risposto che non era autorizzata ad effettuarla; ho anche detto che deve consegnare la registrazione in segreteria.
A mio avviso è un comportamento scorretto, vorrei la vostra opinione e, se possibile, le basi normative e giuridiche per un eventuale provvedimento disciplinare.
La risposta di Privacy for School
Preliminarmente si rileva come la questione prioritaria da risolvere attiene alla sussistenza dei profili di responsabilità disciplinare in capo alla docente che ha effettuato la registrazione, impregiudicata la facoltà della collega, se lo ritiene, di procedere autonomamente e personalmente per la tutela dei suoi diritti.
Fatta questa doverosa precisazione, giova ricordare che, dall’esame della giurisprudenza, la mera registrazione di una conversazione tra presenti non integra un illecito penale. La Corte di Cassazione ha ritenuto che: "non è illecito registrare una conversazione perché chi conversa accetta il rischio che la conversazione sia documentata mediante registrazione" (così Cassaz. pen., sez. III, sent. 13 maggio 2011, n. 18908, in Massimario.it - 31/2011). Dal punto di vista del diritto penale, infatti, non rileva il fatto che la riproduzione venga utilizzata senza il consenso della parte che non era a conoscenza che il colloquio fosse registrato.
Si segnala anche la sentenza della Cassazione penale (3 febbraio 2017 n. 5241) che ha ribadito la liceità dell'utilizzo di registrazioni audio e video come prove documentali. In particolare, con la sentenza citata, si è chiarito che non vi è alcun limite al fatto che un soggetto registri, magari anche tramite il proprio smartphone, una conversazione con un'altra persona senza necessità che quest'ultima debba essere preventivamente informata. Il principio ribadito da tale decisione è che: "le registrazioni, video e/o sonore, tra presenti, o anche di una conversazione telefonica, effettuata da uno dei partecipi al colloquio, o da una persona autorizzata ad assistervi (..)costituisce prova documentale valida e particolarmente attendibile, perché cristallizza in via definitiva ed oggettiva un fatto storico". Ciò, anche perché, prosegue la Suprema Corte, "la persona che registra (o come nel caso nostro, che viene filmata dallo stesso autore del fatto)..è pienamente legittimata a rendere testimonianza, e quindi la documentazione del colloquio esclude qualsiasi contestazione sul contenuto dello stesso".
Secondo la giurisprudenza, le moderne tecniche di registrazione rese possibili da telefoni cellulari smart, ecc. -che posseggono le funzionalità audio e video- e l'uso di applicazioni dedicate alla registrazione audio e video, consentono una documentazione oggettiva e non contestabile e come tali un'occasione di acquisire una prova importante a livello processuale (Cassaz. pen. 3 febbraio 2017 n. 5241, in senso conforme: Cassaz. pen. 8 marzo 2010 n. 9132).
Sotto il profilo penalistico, qualora la registrazione avvenga da parte di un partecipante alla stessa non sembra configurabile l'ipotesi di reato di cui all'art. 615-bis c.p. ("Interferenze illecite nella vita privata") e la registrazione trova pieno utilizzo probatorio nel processo. Le medesime considerazioni possono essere svolte anche nel processo civile e del lavoro dove, in virtù delle disposizioni sopra richiamate, le video-registrazioni sono come detto prove documentali.
Per quanto riguarda la normativa a tutela della protezione dei dati personali, inoltre, l’attività di registrazione non sembra integrare, automaticamente, un illecito.
Invero, siamo in presenza di un vero trattamento illecito (che deborda dall’utilizzo strettamente personale) solo se il contenuto della registrazione sia diffuso indebitamente, per scopi diversi dalla tutela di un diritto proprio od altrui, integrando così il reato di cui all'art. 167 d.lgs. 196 del 2003 e successive modificazioni ed integrazioni.
Il trattamento dei dati personali, ammesso di norma in presenza del consenso dell'interessato, può essere, eseguito anche senza che a questi sia data l'informativa di cui all'art. 13, comma 1 del citato decreto e, anche in assenza di consenso, se, come statuisce l'art. 24, comma 1, lettera f), è volto a far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria o per svolgere le investigazioni difensive previste dalla legge 397/2000, e ciò a condizione che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento.
Ai sensi dell’art. 13, comma 5, lett. b)del Codice Privacy l'utilizzo di quanto registrato occultamente "ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge 7 dicembre 2000 n. 397, o, comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento".
Analoghe considerazioni possono essere svolte in tema di dati sensibili e di quelli “super-sensibili”.
Ora, alla luce di quanto precede, si può ritenere che:
- La mera registrazione non sembra costituire un illecito né in chiave penalistica, né in quella di tutela dei dati personali.
- Il problema dell’illiceità si potrebbe porre quando l’autrice utilizzasse la registrazione diffondendola, integrando in tal modo un trattamento di dati personali altrui sindacabile sotto i profili dell’omessa preventiva informativa e del consenso, se e nella misura in cui la raccolta e il trattamento non siano pertinenti a una sua propria esigenza difensiva: ma ciò non è avvenuto. Peraltro, quand’anche si realizzasse il trattamento indebito, si dovrebbe far rientrare la condotta nell’alveo delle infrazioni disciplinari; operazione non facile (posto che il D.Lgs n.297/1994 non ci aiuta in tal senso), che potrebbe essere agevolata qualora esistesse qualche disciplina in materia nel regolamento d’istituto.
In sostanza, ai fini della contestazione dell'addebito, si dovrebbe partire dal divieto di utilizzo della telefonia mobile stabilito dai regolamenti interni della scuola a carico degli studenti, per poi valorizzare la contraddittorietà della condotta della docente rispetto alle prescrizioni vigenti per gli allievi. In altri termini, si potrebbe contestare a chi ha effettuato la registrazione di aver posto in essere atti in contrasto con ciò che la scuola esige dai suoi studenti.
Fatto si è che l'interessata potrebbe anche avere ragione; può anche essere che la collega registrata sia effettivamente non in grado di gestire la classe.
Alla luce di quanto precede, allo stato, si suggerisce di valutare serenamente la situazione prima di procedere.
Si potrà eventualmente valutare se aprire un colloquio, non disciplinare, allo scopo di chiarire l’accaduto.
Data di pubblicazione: 20/04/2018